QUEL 1991 CHE SCONVOLSE LE NOSTRE VITE: DEI 30 ANNI DI SPIDERLAND E NON SOLO.
Rubrica #5
C'erano una volta due band americane e una irlandese che nel 1991, all'improvviso, inconsapevolmente o meno cambiarono la storia del rock tracciando nuovi percorsi e smantellando definitivamente quel che di esso ancora restava.
Marzo, settembre e novembre, rispettivamente i mesi in cui videro la luce Spiderland, Nevermind e Loveless, album capisaldi del post-rock, del grunge e dello shoegaze. Musicalmente differenti ma in qualche modo tre frutti dello stesso profondo disagio generazionale, della stessa incomunicabilità e alienazione. Nevermind, però, sarebbe stato di gran lunga il più fortunato, almeno dal punto di vista commerciale. Se i My Bloody Valentine combattevano "contro" la new wave e i suoi sottogeneri, la battaglia americana invece si giocava, nei solchi dell'hardcore, contro il rock tamarro e sovrabbondante del glam. Se i Nirvana, però, lasciarono in pace almeno la consueta forma canzone, invece MBV e Slint avrebbero fatto della destrutturazione il loro credo principale.
Ma fermiamoci qui, ché il punto non è questo.
La vera questione, piuttosto, è che Spiderland ha compiuto pochissimi giorni fa trent'anni.
Originari di Louisville, nello stato del Kentucky, gli Slint si formarono nel 1986 dalle ceneri dei seminali Squirrel Bait. Erano composti da Brian McMahan (chitarra e voce), David Pajo (chitarra), Britt Walford (batteria) e Todd Brashear (basso).
Spiderland fu il loro secondo ed ultimo album, dopo Tweez (1989). Buon disco il primo, capolavoro il secondo. Registrato nel 1990, fu rilasciato l'anno seguente per la Touch & Go, label che avrebbe prodotto altri gruppi storici quali Jesus Lizard, Don Caballero, Shellac, Blond Redhead e anche i nostri Uzeda (Different Section Wires, 1998).
Vide la luce il 27 marzo, in una tiratura di sole 5000 copie.
Il suo pregio è quello di essere un album, al netto della complessità, estremamente viscerale, pulsante. Molto cervello? Probabilmente si, ma altrettanto cuore ed un'emozionalità sempre altissima. Momenti narrativi, parlati (elementi già in Darlene, di Tweez), che poi esplodono in urla disperate. Quaranta minuti tesissimi, sei brani che non scendono mai sotto i cinque minuti di durata. Rabbia impotente, dolcezza, desolazione. Dopo un album simile gli Slint avrebbero sicuramente goduto di una carriera brillante, o forse no. Avrebbero saputo replicare i fasti di Spiderland, fare ancora passi in avanti? Non è dato sapere, in quanto poco dopo la pubblicazione del disco McMahan, in preda ad una profonda crisi esistenziale, avrebbe lasciato la barca. Si sarebbe rifatto poi con i For Carnation, che avrebbero ripreso quel discorso lasciato interrotto provando a fornire altre risposte, ulteriori chiavi di lettura. David Pajo, invece, sarebbe confluito nei Tortoise.
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